19/05/2021

Quando la lombalgia acuta colpisce l’atleta pallavolista: l’intervista a Marco Candiloro

La lombalgia acuta - anche conosciuta low back pain - è una patologia altamente ricorrente nel mondo sportivo. Come si affronta quando colpisce l’atleta pallavolista?
Per rispondere a questa e ad altre domande abbiamo intervista Marco Candiloro, fisioterapista e osteopata nella sede Azimut Riabilitazione di Milano e membro dello staff medico della UYBA Volley femminile. 

Ciao Marco, cosa ci puoi dire della lombalgia acuta?

Difficilmente nel volley l’insorgenza di lombalgia acuta può essere attribuita a condizioni pericolose o non di natura muscolo-scheletrica. Infatti, non si tratta di uno sport “contact”, dunque la componente traumatica (assai presente nel football americano, rugby etc) è indubbiamente inferiore.

È comunque doveroso assicurarsi che non si tratti di patologie per cui sia necessario un tempestivo rinvio medico, quindi vanno escluse:

  • infezioni (spondilodisciti)
  • fratture (patologiche e non)
  • compromissioni neurologiche (radicolopatie, affezioni della cauda e volendo anche midollari).

Tuttavia è improbabile che queste problematiche si manifestino parossisticamente senza un esordio più subdolo e progressivo, ad eccezione della frattura vertebrale.

L’esclusione avviene in primis clinicamente tramite test e movimenti evocativi del dolore, se possono essere eseguiti, perché in acuto molti movimenti sono impraticabili. Inoltre, occorre valutare se possono essere assunte delle posizioni allevianti e che potrebbero addirittura condurre ad un relief totale. 
Un altro aiuto, per completare l’anamnesi permettendo un’ipotesi diagnostica attendibile, potrebbe provenire da un occhio vigile che ha assistito alla dinamica dell’infortunio (ad esempio durante uno scontro tra giocatori o l’impatto contro il palo della rete). 

Nella maggior parte dei casi la lombalgia acuta è ascrivibile ad una sofferenza di strutture del sistema muscolo-scheletrico, spesso preceduta da un periodo di progressivo incremento del dolore che culmina in un movimento che determina l’acuzie.
Fortunatamente il 90% di queste condizioni, in cui non si può parlare di macrotrauma ma di overuse con esordio acuto sovrastante, va incontro spontaneamente a regression to the mean in 7-10 giorni. 

Si effettua anche la diagnosi differenziale?

Una volta escluse le situazioni “gravi” e considerata l’assenza di segni e sintomi VNP (parestesie, deficit di forza e, più raramente, dolore associato ad alterazione dei polsi periferici) che, preoccupano lo staff medico, non è necessaria la diagnosi differenziale. 
La definizione di lombalgia aspecifica comprende discopatia, contrattura muscolare profonda, sindrome faccettaria, epispinalgia.

Può essere utile la diagnostica per immagini? 

In assenza di sospetta patologia sistemica, non MSK, o in assenza di segni neurologici o vascolari la diagnostica per immagini non è assolutamente funzionale. 
L’imaging potrebbe solo fornire elementi nocebo all’atleta qualora si tratti, ripeto, di un quadro clinicamente ritenuto a ragion veduta di natura muscolo-scheletrica.

Effettuata la diagnosi, si deve organizzare la strategia di recupero funzionale: chi se ne occupa?

Conoscendo la probabile evoluzione del quadro clinico è opportuno informare lo staff tecnico per ipotizzare il piano di recupero, anche in base agli impegni della stagione che ricadono in quel periodo.
Detto questo, è lo staff medico che si riunisce e decide cosa dovrà fare l’atleta e come dovrà essere gestito nel caso possa parimenti lavorare sul campo (gestione del volume e dell’intensità del lavoro tecnico) e in sala pesi.

Cosa prevede il Progetto Riabilitativo?

Il riposo assoluto viene concesso per 24-48 ore qualora l’impotenza funzionale non consenta attività minime come cammino, ADL, esercizi blandi di mobilizzazione, stretching, esercizi a carico naturale.
Appena possibile bisogna intensificare il lavoro proposto all’atleta, inserirlo quanto prima nelle sezioni di resistance training seppur con schede di lavoro modulate per rispettare sintomatologia e/o recupero del tessuto biologico.

Il trattamento manuale (terapia manuale, OMT, seduta chiropratica) può promuovere una riduzione del dolore percepito nel breve termine.

Importantissima risulta essere la self efficacy dell’atleta: la persona più confidente, meno timorosa ed ottimista in merito alla guarigione manifesterà outcomes migliori. Per questo è importante fare comprendere che a dolore non corrisponde necessariamente una lesione anatomico-organica. L’atleta in grado di capire che il proprio corpo non è né rotto né compromesso, per quanto il dolore sia intenso, oppure che l’intensificarsi del sintomo non sia imputabile necessariamente al peggioramento di una condizione pregressa (atleta iper medicalizzato in passato con numerosi esami di radiologia alle spalle) imboccherà il percorso riabilitativo con risultati migliori.

L’idrokinesiterapia può essere indicata nelle prime ore dall’insorgenza dello stato acuto in caso di impotenza funzionale marcata: lo scopo è muovere precocemente in microgravità qualora sia impossibile farlo “a secco”.

La terapia farmacologica di supporto viene decisa dal medico: solitamente la scelta ricade sull’accoppiamento FANS/miorilassante, tenendo sempre in considerazione i principi attivi vietati dalla lista WADA.

In base alla riduzione dei sintomi aumentano le richieste funzionali in sala pesi, dove è plausibile però una modulazione dei carichi soprattutto negli esercizi core o fondamentali, con maggiore carico assiale sul rachide e con maggiore richiesta di reclutamento e coordinazione intermuscolare.

Talvolta è necessario sospendere il programma di resistance training, sostituendolo con esercizi terapeutici con la consapevolezza di perdere molto della fitness dell’atleta. Altre volte il riabilitatore consente, integra e promuove il lavoro di resistance training, ma non consente un simultaneo return to play, o perché ritiene che l’atleta possa recidivare con l’attività sul campo oppure perché teme che l’inattività coatta dovuta al low back pain possa aver minato la capacità di forza dell’atleta esponendolo maggiormente al rischio infortuni.

Le terapie fisiche e/o meccaniche vengono eseguite, più che altro, “per consuetudine” sebbene non sia presente grande evidenza che suffraghi la loro utilità riabilitativa: ad esempio la Francia ha bandito la coppettazione per questo motivo. In linea generale, è consigliabile che non venga sottratto tempo all’esercizio terapeutico a favore di terapie manuali e strumentali che invece possono accompagnare il gold standard riabilitativo. 

Si può prevenire il low back pain? 

No, tuttavia una sinergia tra trainer, riabilitatore e coach conduce spesso ad una ottimizzazione dei carichi di lavoro - intesa come scelta degli esercizi nella scheda pesi e nella quantità e intensità di lavoro tecnico sport specifico - in funzione delle condizioni dell’atleta, di una buona periodizzazione dell’allenamento e delle caratteristiche del singolo soggetto.